Perché l’Amarone si chiama così?

L’Amarone è il vino simbolo della Valpolicella. Ottenuto dall’appassimento delle uve dei tipici vitigni Corvina Veronese e/o Corvinone e Rondinella, conservate in fruttai per 100/120 giorni, rientra nella ristrettissima categoria dei vini rossi passiti secchi, non dolci. Un’informazione da ricordare, utilissima per spiegare l’origine del suo nome, una delle tante interessanti curiosità che lo caratterizzano e che contribuiscono a creare un’aura di miticità attorno a questo vino.

Dedicati alla lettura del nostro articolo, basta pochissimo tempo, e scopri perché l’Amarone si chiama così. Ti garantiamo che ne vale la pena perché la storia che stiamo per raccontarti è davvero sorprendente.

Perché si chiama Amarone?

La risposta più immediata, che potrebbero dare tutti coloro che non conoscono la storia di questo vino, rimanda al significato letterale della parola “Amarone”. Si chiama Amarone semplicemente perché è un vino “amaro”, direbbero i meno esperti.

Chiariamo subito che l’Amarone non è un vino definibile come amaro. Piuttosto, il termine enologico corretto è “secco”, contrapposto a “dolce”.  Nel primo caso gli zuccheri dell’uva, durante la fermentazione, si trasformano in alcol; nel secondo, invece, non tutti gli zuccheri si trasformano in alcol, risultando percepibili al palato e responsabili del gusto “dolce” di un vino.

Eppure, in riferimento all’Amarone, si ricorre all’espressione “vino amaro” fin dall’epoca di Catullo che, nel Carme n. 27, parla proprio di “calices amariores”. Più tardi, nel ‘700, Scipione Maffei, nella “Verona Illustrata”, utilizza il termine “amaro” per definire quello che poi sarà conosciuto come Amarone.

Perché amaro, se poi non è un vino “amaro”? La domanda sorge spontanea. La risposta la ritroviamo in un’espressione, “recchiotto amaro”, attribuita a Cassiodoro, a Teodorico e tanti altri, utilizzata proprio per descrivere l’Amarone. “Recchiotto” fa riferimento al “Recioto della Valpolicella”, un vino rosso passito DOLCE, a differenza dell’Amarone.

Insomma, si ricorreva al termine “Recioto amaro” in contrapposizione al “Recioto dolce”, solo per sottolineare la differenza tra questi due vini della Valpolicella, anche se il termine corretto, come abbiamo anticipato, sarebbe “secco”.

E da Amaro come si è giunti ad Amarone?

Per “spiegare” il passaggio dobbiamo entrare nel campo della leggenda. Stando a quanto si racconta, il cantiniere della Cantina Sociale della Valpolicella, Adelino Lucchese, dimenticò di interrompere la fermentazione del suo Recioto. Così, gli zuccheri presenti nel mosto si trasformarono in alcol, perdendo la classica dolcezza del Recioto. Quando Adelino assaggiò la bottiglia si accorse dell’errore, quello che doveva essere un dolce Recioto era diventato un vino “secco”. Pare che il cantiniere esclamò: “Questo non è un vino amaro, è un Amarone”. Era il 1936!

Quando, nel 1953, furono commercializzate le prime bottiglie si decise di optare per questo nome, così altisonante. Che Amarone sia!

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